
Le materie plastiche biodegradabili non sono la risposta per ridurre il rapporto sui rifiuti marini 2
Notizie del settore / Data: 29 marzo 2018

Negli ultimi anni, secondo quanto riferito, è stata coltivata sulla microplastica, che hanno particelle fino a cinque millimetri di diametro, fabbricati o creati quando la plastica si rompe. La loro ingestione è stata ampiamente segnalata negli organismi marini, tra cui uccelli marini, pesci, cozze, vermi e zooplancton.
Il nuovo rapporto mirava a verificare una tesi secondo cui la plastica considerata "biodegradabile" può svolgere un ruolo importante nel ridurre questi impatti ambientali negativi.
Scopre che le materie plastiche più comunemente utilizzate per applicazioni generali, come polietilene (PE), polipropilene (PP) e polivinil cloruro (PVC) non sono biodegradabili in ambienti marini. I polimeri, che il biodegrade in condizioni favorevoli sulla terra, sono molto più lenti a rompersi nell'oceano e la loro diffusa adozione è probabile che contribuisca alla lettiera marina e conseguenti conseguenze indesiderate per gli ecosistemi marini.
Lo studio analizza anche gli impatti ambientali della plastica oxo-degradabile, arricchiti con un pro ossidante, come il manganese, che precipita la loro frammentazione. Ha scoperto che negli ambienti marini la frammentazione è abbastanza lenta e può richiedere fino a 5 anni, durante i quali gli oggetti di plastica continuano a sporcare l'oceano.
Secondo l'UNEP, le materie plastiche oxo-degradabili possono rappresentare una minaccia per gli ecosistemi marini anche dopo la frammentazione. Il rapporto afferma che si dovrebbe presumere che le microplastiche create nel processo di frammentazione rimangono nell'oceano, dove possono essere ingerite dagli organismi marini e facilitare il trasporto di microbi dannosi, agenti patogeni e specie alghe.
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